LA RELAZIONE TERAPEUTICA IN ANALISI TRANSAZIONALE

Secondo il modello dell’A.T. la relazione è il luogo fondamentale in cui cliente e terapeuta si incontrano come due persone di pari dignità, offrendo ognuno le proprie competenze ai fini del raggiungimento degli obiettivi concordati. Il cliente infatti è l’esperto di se stesso e come tale è portatore di informazioni, vissuti, valori e risorse che liberamente e responsabilmente ha da mettere in campo per il cambiamento che desidera ottenere. Il terapeuta, da parte sua, mette a servizio la propria competenza umana e professionale, fatta di formazione teorica, tecnica e pratica clinica.
Grazie alla relazione terapeutica quindi il cliente può sperimentare, proprio come se fosse in un laboratorio, nuovi modi di vivere la relazione, nuovi modi di pensare a sé, agli altri e al mondo. Diviene un’esperienza di vita costruttiva in cui il terapeuta si offre come modello di empatia, rispetto, attenzione all’altro e incoraggiamento all’esperienza e che attraverso una buona relazione terapeutica modella il cliente rispetto a ciò che gli è mancato e rinforza ciò di cui si è nutrito nella relazione originaria con le figure di riferimento. Questo tipo specifico di relazione offre talvolta un’alternativa vera e propria, talvolta semplicemente un’integrazione a quella “base sicura” descritta da Bowlby (1988) con la quale possiede alcuni parametri in comune: coerenza, affidabilità, calore non possessivo, confini chiari e saldi. In questo modo il cliente interiorizza un “posto” nella psiche a cui può tornare nei momenti di difficoltà, anche dopo il termine del rapporto terapeuta-cliente. Questo crea legame, senza dipendenza passivizzante.
Quindi è importante il ruolo del modellamento nella relazione terapeutica, d’altra parte ne và evidenziato anche un limite. Per la caratteristica di non reciprocità, la relazione terapeutica non può essere esaustiva e realistica rispetto alle relazioni reali del soggetto. Tipico di questa relazione è infatti il “senso unico” dell’attenzione. Il focus è sui vissuti, sulle esperienze, sui bisogni del cliente, mentre non accade lo stesso per quelli del terapeuta. Questo se da una parte è caratteristica specifica e qualificante del tipo di rapporto, dall’altra lo rende un’esperienza sui generis, non riproducibile fuori dal setting, pena l’insoddisfazione del cliente.
Secondo il modello AT, i concetti che più si legano alla relazione terapeutica sono:
· L’alleanza, intesa come il processo per cui il Bambino del cliente accetta che l’Adulto del terapeuta diventi valido sostituto del proprio Genitore (Novellino, 1998), è scopo e mezzo per una buona e proficua relazione terapeutica. Pertanto tutte le strategie volte a costruire una buona alleanza, tra cui l’ascolto attivo, l’empatia, la definizione dei confini, sono le stesse che concorrono all’instaurarsi di una relazione terapeutica funzionale e funzionante;
· L’assunto: ognuno è OK. (Berne, 1966) Lo considero un principio fondamentale da avere presente quando si desidera costruire un rapporto di fiducia, apertura e intimità. Comportarsi secondo questo assunto diviene conditio sine qua non per un rapporto paritario tra terapeuta e cliente seppur contraddistinto da ruoli differenti. Inoltre pensare alla relazione terapeutica come al “laboratorio” in cui il cliente si sperimenta, libero e tranquillo dell’accoglienza che troverà, non può prescindere da uno stile di conduzione basato su questa posizione esistenziale;
· Il metodo contrattuale, per il quale la responsabilità del cambiamento e dell’andamento del percorso è congiunta, per cui gli obiettivi non sono decisi unilateralmente dal terapeuta, ma sono il prodotto accordo bilaterale tra due adulti, che nel fare questo tengono conto di ogni aspetto di sé, Genitore, Adulto e Bambino.
Quanto fino ad ora ho illustrato ha un notevole impatto sul mio modo di lavorare. Infatti presto molta attenzione a quanto accade tra me e il cliente nel qui e ora, per cui anche nel formulare le mie ipotesi di blocco, del problema e del piano di trattamento, non do spazio solo al contenuto di ciò che la persona porta, ma gran parte lo dedico al processo, in particolare al processo relazionale in atto nella relazione con me. In questa ottica eventuali agiti, quali ad esempio assenze, ritardi e il mio stesso vissuto emotivo sono elementi che valuto come portatori di un significato, mi chiedo cosa sta comunicandomi il cliente, per non lasciare cadere eventuali messaggi relazionali e non.
Nella relazione terapeutica grande importanza rivestono anche i concetti di transfert e controtransfert, utili per accedere ai processi intrapsichici del cliente. Secondo Berne (1961) le transazioni transferali sono transazioni di tipo incrociato: il paziente infatti, a partire da uno stimolo del terapeuta che comunica dal proprio Adulto rivolgendosi all’Adulto del paziente, piuttosto che rispondere dallo stato dell’Io a cui era diretta la comunicazione del terapeuta, risponde a partire dal Bambino stimolando l’altro ad andare nel Genitore.
La teoria del copione poi porta Berne (1972) ad allargare il concetto di transfert descrivendolo come un “dramma transferenziale” che non costituisce semplicemente una riedizione del passato, quanto piuttosto sembra essere la realizzazione di un determinato piano di vita inconscio deciso nel passato, richiamato però da dinamiche presenti. Berne (1961) evidenzia come gli aspetti transferali positivi consentano una autentica alleanza terapeutica e come la relazione terapeutica si trasformi continuamente in base a fenomeni inconsci.
Lucarini (1993) riporta come nel modello ridecisionale dei Goulding (1979), l’attivazione delle dinamiche transferali tra cliente e terapeuta non venga incoraggiata, sottolineando come il cliente viene invitato a divenire consapevole della propria impasse combattendo contro il proprio Genitore interno, piuttosto che contro il terapeuta. Gli Schiff (1975) tendono invece ad accettare, da parte del paziente psicotico, la deenergizzazione del proprio Genitore ed il relativo investimento transferale nei confronti del terapeuta, al fine favorire la rigenitorizzazione tramite una nuova struttura genitoriale offerta dal terapeuta.
Novellino (1998) così si esprime sulla nevrosi di transfert: “è una situazione clinica caratterizzata dal fatto che il paziente, tramite un elastico, rivive nella sua piena intensità emotiva l’impasse originario, vivendo inconsciamente il terapista come se fosse il polo genitoriale dell’impasse stessa”. Il cliente quindi riproporrà nella relazione terapeutica gli stessi giochi che metteva in atto nella relazione originaria con le figure di riferimento, proiettando il proprio bisogno insoddisfatto sul terapeuta, che in tal caso costituisce sia la fonte del possibile soddisfacimento del bisogno (polo positivo del transfert) sia una fonte di possibile frustrazione. Per controtransfert invece si intende la reazione del terapeuta ai processi comunicativi inconsapevoli del cliente. L’analisi del controtransfert (Novellino 1998) costituisce un importante mezzo per accedere al mondo interno del cliente: infatti il terapeuta, analizzando i processi comunicativi inconsapevoli del cliente può inferire, a partire dalle proprie reazioni, le dinamiche inconsapevoli del cliente.
La Clarkson (1991) classifica il transfert ed il controtransfert in 4 categorie fondamentali:

  1. transfert proattivo del cliente – complementare, in cui il cliente proietta sul terapeuta il G, reale o fantasticato, (oppure il B) del proprio genitore del passato cercando di stabilire con lui una relazione simbiotica, come quella vissuta nell’infanzia; – concordante, dove è il B del cliente ad essere proiettato sul terapeuta per identificarsi con lui;
  2. controtransfert reattivo del terapeuta – complementare, in cui il terapeuta risponde alle proiezioni del cliente, provando gli stessi sentimenti del genitore del cliente – concordante, risuonando empaticamente con il vissuto del cliente, o sperimentando situazioni evitate o sentimenti inespressi di costui;
  3. controtransfert proattivo del terapeuta – complementare o concordante, estremamente dannoso e legato ad aspetti non risolti del terapeuta, in cui è il terapeuta che proietta sul cliente cercando di stabilire una relazione simbiotica o di identificarsi;
  4. controtransfert reattivo del cliente – complementare o concordante, costituiscono quindi la risposta del cliente all’eventuale e deprecabile controtransfert proattivo del terapeuta, completandone le proiezioni in base alla storia del terapeuta o risuonando empaticamente con lui.

Bibliografia
Berne E. (1961). Analisi Transazionale e psicoterapia, Tr. it. Astrolabio, Roma 1971.
Berne E. (1966). Principi di terapia di gruppo. Tr. it. Astrolabio, Roma 1986.
Berne E. (1972). “Ciao!”…e poi? Tr. it. Bompiani, Milano 1979.
Bowlby J. (1988). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 1989.
Clarkson P. (1991). Through the looking glass: Exploration in trasference and countertransference. TAJ 21, 99-102.
Cornell W. (1988). La teoria del copione di vita: una rassegna critica in un’ottica evolutiva. Tr. it. in
Goulding M., Goulding R. L. (1979). Il cambiamento di vita nella terapia ridecisionale, Tr. it. Astrolabio, Roma 1983.
Lucarini (1993). Aspetti teorici e clinici del transfert in Analisi Transazionale. Polarità, 7, 2, pp. 291-324.
Novellino M. (1998), L’approccio clinico dell’Analisi Transazionale, Franco Angeli, Milano.
Schiff J. L. et al. (1975). Analisi Transazionale e cura delle psicosi, Tr. it. Astrolabio 1980.

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